Se, nonostante la diffusione della pandemia da coronavirus e la conseguente crisi economica a livello mondiale, la Cina ha visto nel 2020 la produzione interna totale (PIL), stando ai dati del National Bureau of Statistics of China, aumentare del 2,3% in termini reali rispetto all’anno precedente, al netto delle fluttuazioni dei prezzi, grazie ad un’impennata della spesa governativa (+10,5%), al boom delle esportazioni (+30%), e ad un forte aumento degli investimenti pubblici (+14,9%), le previsioni per il 2021 sono ancora più ottimistiche e vedono addirittura il PIL aumentare del 6%. Ciò è quanto si legge nella relazione del premier Li Keqiang messa a punto in occasione dell’apertura dei lavori annuali del Congresso Nazionale del Popolo, il ramo legislativo del parlamento cinese.
L’idea è quella di raggiungere contemporaneamente gli obiettivi di una crescita sostenuta, di un debito controllato, di un’economia più efficiente dal punto di vista energetico e di una riduzione delle disuguaglianze. Tutto ciò dovrebbe avvenire attraverso maggiori sforzi su riforme, innovazione e sviluppo di alta qualità, ma dipenderà molto da tre fattori: come la pandemia influirà sull’attività economica in Cina e nel resto del mondo e se vi sarà un ritorno alla “normalità”; come si evolverà la controffensiva delle economie sviluppate e se la Cina vedrà alterata la propria bilancia con l’estero, o la fiducia di consumatori e investitori; ed infine, da quale sarà l’approccio adottato dalla Cina stessa. L’elemento centrale è quello della dual circulation (doppia circolazione), un’immagine costruita sull’integrazione fra una dimensione internazionale fatta di interscambio e flussi di investimento (circolazione esterna) e una domestica caratterizzata da consumi interni e aumento della qualità della produzione in funzione di una sostanziale autarchia tecnologica nei settori strategici (circolazione interna). Il punto fondamentale è la coesistenza delle due circolazioni, ma dando un sempre maggiore peso a quella interna.
Sulla base di questi fattori il Rhodium Group prevede tre possibili scenari per lo sviluppo dell’economia cinese nel 2021. Il primo si fonda su una previsione del Fondo Monetario Internazionale (FMI), che nel “World Economic Outlook” afferma che ci sarà un ribilanciamento dei consumi e degli investimenti privati che faranno aumentare il PIL dell’8,1%, con un calare però delle esportazioni di cinque punti rispetto al picco del 2020. Il secondo scenario invece, quello peggiore, configura una situazione nel quale gli altri paesi rimpatrino produzioni dalla Cina e insistano affinché questa compri quote maggiori del loro export così che il prezzo delle materie prime importate da Pechino aumentino di pari passo con la ripresa globale. L’attivo cinese potrebbe scendere ed i vari aggiustamenti in corso nel mercato potrebbero quindi frenare i consumatori ed in particolare gli investitori portando così Pechino a tornare ad ingrandire la spesa pubblica nell’economia e limitando la crescita nel 2021 a “solo” 3,4%. Infine, nel terzo, adottando i numeri dichiarati da Pechino per le proiezioni, viene prevista una crescita del PIL pari al 5,6%, inferiore rispetto alle previsioni più ottimistiche (ad esempio quelle dell’ex capo dell’Ufficio statistico nazionale, Xu Xianchun, che ha parlato del 7-8%). Questo perché si considera che i consumi domestici e gli investimenti privati cresceranno nel 2021 si, ma non a pieno regime e con intensità decrescente nel secondo semestre. L’analisi differisce da quella prospettata dal FMI nel primo scenario riguardo vari aspetti, come sugli investimenti: l’investimento privato si dovrebbe riprendere ben poco e dunque quello pubblico dovrà mantenersi a livelli elevati.
Daniele Paolini